10 GIORNI PER 8 POZZI: LA TESTIMONIANZA DI SANTIAGO

Molto spesso festeggiamo la perforazione di un nuovo pozzo in Uganda, rallegrandoci di questi importanti risultati e dell’acqua finalmente portata al popolo karimojong.
Ma cosa vuol dire perforare un pozzo? Santiago Pozzoni, volontario di servizio civile in Uganda ormai da tre mesi, ci racconta della campagna di sondaggi geologici che l’ha visto protagonista: una campagna fatta di picchetti e cavi elettrici, ma anche dei sorrisi riconoscenti della popolazione locale.

Tale attività si colloca come supporto tecnico alla realizzazione del progetto FAO per la costruzione di infrastrutture di raccolta acqua per l’agricoltura e la gestione del bestiame, nonché per la realizzazione del progetto Cei atto alla costruzione di pozzi ad uso potabile.

"Martedì 17 gennaio sono partito, con il geologo David e l’autista Moses, per una campagna durata 10 giorni che ci ha visti impegnati nell’identificazione di 8 punti in cui perforare altrettanti nuovi pozzi.
Per cercare il punto dell’area più propenso alla perforazione, cioè in cui più probabilmente si potrebbe trovare acqua, usiamo una tecnica di indagine chiamata Sondaggio Elettrico Verticale (SEV): grazie ad una batteria collegata ad uno strumento si inviano impulsi elettrici al terreno per verificare la presenza di acqua nel sottosuolo. Il lavoro pratico consiste nel martellare i picchetti nel terreno e collegarli, tramite cavi, alla batteria fino a 120 m di stendimento del cavo. Purtroppo non si ha mai la certezza assoluta che in quel punto ci sia acqua: la percentuale di successo si aggira attorno al 90[%], il chè significa che ogni 10 perforazioni 9 trovano acqua e una no. Sul campo, prima di iniziare l’indagine, bisogna cercare segni che in quel punto possa esserci acqua, come un albero particolarmente rigoglioso o un grosso termitaio; David, grazie alla sua esperienza, è bravo in questo e mi sta insegnando molto. Una volta individuato il punto si scrive il report e si invia la squadra di perforazione di Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo a perforare.

Siamo quindi partiti alla volta di Kotido dove abbiamo individuato il punto per la perforazione di un pozzo e da lì ci siamo spostati verso il distretto di Abim, situato sul confine occidentale della Karamoja, per individuarne altri 7. Qui ci siamo sistemati nel piccolo centro abitato di Abim dove le strade sterrate ti riempiono di polvere rossa, la corrente salta spesso e non c’è molto da fare a parte chiacchierare, mangiare e dormire. Per tutti i 10 giorni non ho visto nessun bianco ed è stato stranissimo essere l’unico. Sono diventato l’attrazione del paese, molti volevano scambiare due parole con me e i bimbi rimanevano spesso sorpresi al mio passaggio.
Dal campo base di Abim ci siamo spostati ogni mattina, guidati da contatti locali, verso i luoghi in cui individuare i punti da perforare. Quattro pozzi sono stati localizzati nell’area di Nyarikidi, che, mi spiegano, è stata un nascondiglio per i guerrieri karimojong e non ha visto insediamenti stabili fino al 2012. Poi, con l’inizio del disarmo da parte del governo, è diventata una zona di ripopolamento e a partire dal 2013 ha visto il reinsediamento delle persone che prima la abitavano ed erano scappati per motivi di insicurezza. La zona è ora abitata prevalentemente dal gruppo etnico Iteso. Qui ciascun nucleo familiare del villaggio è isolato dagli altri con la propria capanna, una struttura circolare con muri in argilla essiccata o mattoni e un tetto conico in paglia sostenuto da tronchi contorti in cui dormire, affiancata da un’altra capanna adibita a cucina e da grossi contenitori ovali in rami intrecciati e terra, sopraelevati su pali, per conservare il cibo. Le grosse capanne comuni sono la scuola e la chiesa. Attorno, tra le secche sterpaglie della savana, si vedono campi di piante di kasava, riconoscibili per le verdi foglie stellate dal picciolo rosso che emergono dalla terra arata. La kasava è un grosso tubero dalla scorza ruvida con l’interno bianco latte. Prima di questa esperienza l’avevo mangiata solo cotta o fritta, ma sul campo, imparando dagli abitanti locali, ho iniziato a mangiarla cruda scoprendo la sua umida freschezza che ristora sotto il sole cocente. Coltivano anche il sorgo, che usano per fare la birra o come farina mista a quella di miglio, e il mais, che ridotto in polvere può essere cucinato ottenendo il posho, una polenta bianca. In molti villaggi scorrazzano galline e in uno ho visto alcune colombe e piccioni lavarsi sul fondo di un catino in un dito d’acqua. Guardandomi attorno nello spiazzo in terra battuta ho scoperto la casetta per le colombe; un quadrato in terra essiccata, con muretti di 25 cm, sopraelevato su 4 tronchi contorti e coperto da un tetto in paglia. Mucche e capre compaiono qua è la. Nel centro del villaggio di Ayeye, in cui vivono 210 persone, rimango stupito da un grosso recinto circolare, il craal, realizzato in rami che contiene una mandria di mucche, più piccole e resistenti rispetto a quelle europee.

Gli abitanti dei villaggi sono sorpresi nel vederci comparire in jeep e quando scendiamo sotto il grosso albero, che spesso domina le capanne, sono ancora più stupiti di vedere un uomo bianco (muzungu). Dopo i primi istanti di sorpresa è bello stringere le mani e sorridere alle persone che ci ringraziano di essere lì. I bambini sono i più curiosi, mi indicano e ridono divertiti. Salutati gli abitanti, si inizia a indagare l’area in cui si vuole perforare il pozzo. David parte alla ricerca di un punto proficuo mentre io e Moses prepariamo la strumentazione. E’ bello vedere la partecipazione sentita degli abitanti dei villaggi: alcuni aiutano a stendere i cavi e picchettare mentre altri curiosano attorno al display digitale dello strumento. Per loro la perforazione di un pozzo vicino al villaggio significa molto. Ci sono insediamenti che distano oltre 10 km dal pozzo più vicino e durante la stagione secca quella è l’unica fonte idrica. Venerdì abbiamo visitato un pozzo vicino al villaggio di Aleles che serve 4 villaggi riempiendo fino a 1000 taniche al giorno. Giunti sul luogo mi colpisce una lunga fila di taniche gialle in attesa di essere riempite. Sono almeno cinquanta. Mi spiegano che una persona può dover attendere parecchie ore prima di poter riempire la propria, per poi percorrere 13km a piedi fino a casa. Per evitare la lunga attesa a volte comprano l’acqua al mercato dove una tanica costa 2.000 USC (più di 50 centesimi di euro), un prezzo molto alto per loro. Le nuove perforazioni in queste aree risultano quindi molto importanti per questi villaggi.

Il lavoro di ricerca geofisica è impegnativo, bisogna camminare a lungo e picchettare sotto il sole martellante. A volte un buon punto si trova dopo pochi sondaggi altre volte può passare un’intera giornata senza riuscire a trovarne uno buono. Troviamo 7 punti in altri villaggi, dove le comunità, come segno di gratitudine, ci regalano parecchia kasava e in uno addirittura una gallina. Riusciamo anche ad acquistare due secchi di miele selvatico misto a cellette di cera ed api morte. Gli alveari li creano in spezzoni di tronco scavati all’interno e appesi sulle biforcazioni degli alberi. Una volta filtrato l’intruglio riusciamo ad ottenere 15 l di miele che dividiamo in parti eque tra me, David e Moses.
E’ stata un’esperienza forte che mi ha permesso di entrare in contatto con una cultura molto diversa da quella da cui provengo. Nonostante le difficili condizioni di vita ho visto un grande calore umano nelle persone conosciute; salutandole dal finestrino è strano pensare che, pur se non le incontreremo più, abbiamo forse semplificato i loro problemi. Rimane solo da aspettare l’arrivo delle squadre di perforazione e sperare di aver individuato i punti giusti."