Africa Mission celebra quest’anno, 2012, il suo 40esimo anniversario. Daniele Vignola, collaboratore di don Vittorio fin dal 1972, ci racconta come questa avventura di Carità cominciò: una bella testimonianza sugli inizi del nostro cammino di solidarietà e sulla vocazione alla missione che animava don Vittorio.
L’opportunità di incontrarlo mi si presentò nel mese di giugno del 1972. Cominciò così la mia avventura con l’allora sig. Vittorio che in quel periodo stava raccogliendo le adesioni per organizzare il suo secondo viaggio di gruppo in Uganda programmato per l’agosto. Il 15 di aprile, giorno del suo 46° compleanno, ispira to e stimolato dal suo vescovo mons. Enrico Manfredini, Vittorio aveva dato vita a Piacenza, ad una piccola associazione: Uganda Mission Safari Club, con lo scopo di ''sensibilizzare le persone visitando le missioni e per dare un aiuto diretto e immediato alle missioni'', come si leggeva nelle prime righe dello statuto. La fondazione della associazione giustificava quanto Vittorio scriveva già allora: ''Le giornate missionarie si vanno facendo sempre più difficili da ottenere presso le parrocchie. La predicazione di tali giornate si fa sempre più vecchia, ripetuta e poco efficace, anche quando è intelligente e viva. Le prediche, anche le migliori, entrano da un orecchio ed escono dall’altro, scivolano via persino per le persone più sensibili. Le offerte raccolte in tali giornate, oltre ad essere sempre inadeguate, lasciano immutate le persone che donano. Ora chiediamoci: vale di più raccogliere dei soldi o cambiare delle persone? Noi mettiamo la persona al centro di tutto e le proponiamo una esperienza che la cambia profondamente. Siamo sicuri che poi le offerte verranno da sole e abbondanti come il passato ci ha dimostrato. L’esperienza che cambia per noi è venire a vedere la Chiesa africana e il lavoro di evangelizzazione, di promozione sociale dei nostri missionari'.
Quelli erano tuttavia anni turbolenti per l’Uganda dove Vittorio voleva operare. Nel gennaio dell’anno precedente, Idi Amin Dada, capo di stato maggiore dell’esercito, aveva destituito l’allora presidente Milton Apollo Obote approfittando della sua assenza, essendosi egli recato a Singapore per partecipare alla conferenza del Commonwealth che là si teneva in quei giorni. Dopo una breve sosta in Kenia il cui governo volle rimanere estraneo all’accaduto e gli negò l’asilo, Obote riparò in Tanzania dove venne accolto dall’amico presidente Julius Nyerere. Come purtroppo spesso accade in queste circostanze, Amin, temendo le rivendicazioni dei Lango, etnia alla quale apparteneva Obote, ne iniziò la persecuzione con uccisioni in massa. Per avere un’idea di ciò che stava accadendo, è esplicito un brano di una pubblicazione apparsa in Italia nel 1977. Si tratta di un profilo di Amin scritto dal giornalista Erich Wiedemann allora corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel per l’Africa Centrale. In essa si legge: ''Il periodo delle piogge dell’anno 1971, che coincise con il AFRICA MISSION - COOPERAZIONE E SVILUPPO momento in cui la liquidazione degli avversari raggiunse il suo culmine, fu una festa senza precedenti per i coccodrilli del Nilo e del lago Vittoria. Nello sbocco del Nilo nelle vicinanze di Jinja, i rettili erano talmente sazi di carne umana che i cadaveri ch’essi ormai sdegnavano ingorgavano in alcuni punti gli afflussi d’acqua alla centrale elettrica delle cascate Owen. Fu necessario ricorrere ai sommozzatori che in un sol giorno estrassero dall’acqua trenta cadaveri''. Tutto quindi in quel periodo sconsigliava un soggiorno in Uganda.
Evidentemente però Vittorio aveva avuto delle rassicurazioni dai colloqui telefonici che teneva con i missionari, poiché nel febbraio del 1972 alcuni piacentini lo avevano seguito in un primo viaggio esplorativo in Uganda dove sarebbero stati ospiti di mons. Cipriano Kihangire vescovo della diocesi di Gulu, una cittadina al nord del paese. Mons. Cipriano aveva conosciuto don Enrico Manfredini allora prevosto della basilica di S. Vittore a Varese, durante i lavori del Concilio Vaticano II dove don Enrico era stato chiamato come parroco uditore. Mons. Cipriano fu poi invitato a Varese insieme al giovane vescovo di Lira mons. Cesare Asili e fu lì che si consolidò la loro amicizia con don Enrico e Vittorio che a Varese, dove era nato, aiutava in quegli anni don Enrico come economo della basilica, dopo aver gestito insieme alla mamma Carmelina, un noto ristorante ancora oggi in esercizio e dove, sopra l’ingresso, campeggia tuttora la scritta ''da Vittorio''. Nel 1969 don Enrico fu nominato da papa Paolo VI vescovo di Piacenza e chiese a Vittorio di seguirlo per ricoprire le funzioni di suo segretario amministrativo. In quel primo viaggio in Uganda dell’inizio del 1972, accompagnarono Vittorio don Francesco Cattadori allora segretario personale di mons. Manfredini, il geom. Paolo Scaravaggi che fu collaboratore di Vittorio fin dai primissimi tempi e don Enrico Gallarati, un sacerdote piacentino che si sarebbe fermato nella missione di Kitgum.
Fu appunto durante le conversazioni avute a Gulu con mons. Cipriano che nel cuore di Vittorio nacque l’idea di fondare quella piccola associazione che prese vita nel mese di aprile dello stesso anno. Subito dopo Vittorio iniziò ad organizzare il primo vero e proprio viaggio di gruppo che si concretizzò nel mese di luglio. Io partecipai al successivo viaggio di agosto e, tornato a Piacenza, incominciai a collaborare con Vittorio. Abbiamo da poco inaugurato la nostra nuova sede, bella e confortevole; la prima sede di Uganda Mission fu semplicemente l’ufficio di Vittorio nel palazzo vescovile di Piacenza. In quell’ufficio si svolgeva tutta l’attività organizzativa della associazione; lì venivano programmati gli itinerari che i gruppi avrebbero percorso; da lì venivano tenuti i contatti con le aggregazioni di diverso genere e le parrocchie del piacentino ma soprattutto della Lombardia dove Vittorio e il suo vescovo potevano contare su numerose conoscenze, al fine di organizzare degli incontri per illustrare gli scopi che Uganda Mission si prefiggeva.
A quei tempi il supporto tecnologico per sostenere il lavoro di segreteria era molto limitato; non esistevano computer, stampanti, fotocopiatrici, ma tutto il materiale di AFRICA MISSION - COOPERAZIONE E SVILUPPO informazione doveva essere approntato battendolo a macchina in più copie. Per la stampa degli indirizzi ci servivamo di una etichettatrice a pasta di riso che immancabilmente si inceppava per cui si doveva terminare il lavoro manualmente. Nei viaggi che effettuavamo, oltre al denaro raccolto da Vittorio nei vari incontri e che veniva distribuito alle missioni che visitavamo, avevamo con noi anche numerose valigie soprattutto di generi alimentari.
Nel corso degli anni furono centinaia le valigie nere trasportate in Uganda e che procurarono a Vittorio l’amicizia di un negoziante di pelletterie, certamente non arricchitosi per questo. Vittorio non aveva studiato ma i conti li sapeva fare molto bene e naturalmente non mancò di sfruttare questo suo ''talento'' anche quando, invece di acquistare valigie, si trovò a noleggiare container o aerei cargo. Lo ricordo seduto a tavolino che, prima nel seminario di Piacenza e poi in una sala del palazzo vescovile, dirigeva la composizione delle valigie, prendendo accuratamente nota del loro contenuto. Partecipavano alla cerimonia anche Roberto Montescani e Credo Groppi i quali, insieme a mons. Enrico Manfredini, Vittorio Pastori, don Francesco Cattadori e Paolo Scaravaggi, furono fra i fondatori di Uganda Mission Safari Club. Roberto e Credo sono stati davvero degli instancabili collaboratori di Vittorio che, come spesso accadeva, approfittava della loro disponibilità. Roberto frequentava l’abitazione del vescovo perché aiutava la mamma in cucina; con lei aveva quindi modo di confidarsi e una volta le manifestò il disagio causato dalle continue insistenze di Vittorio che lo voleva vicino anche per intere giornate. La moglie di Roberto aveva avuto due gemelli e quindi la presenza del marito era richiesta altrove. La signora Maria ne parlò al figlio vescovo il quale ''sollevò da terra'' Vittorio, come lui stesso si espresse quando mi raccontò il fatto, che a sua volta se la prese con il povero Roberto, reo soltanto di avere manifestato una necessità del tutto legittima.
Durante i primi viaggi di gruppo, la base di riferimento in Uganda è sempre stata la residenza di mons. Cipriano a Gulu; raramente trovavamo le condizioni adatte per pernottare in altre località. Già allora ci spingevamo a Moroto e verso altre missioni del Karamoja stipati in un pulmino condotto da John Bosco, l’autista di mons. Cipriano. Nell’agosto del 1972 con lui avemmo anche la nostra avventura con i militari ugandesi. Eravamo diretti a Bibia, una missione non lontana dal confine con il Sudan e il nostro autista ignorò un posto di blocco, probabilmente costituito da un semplice tronco posto di traverso sulla strada. Fummo superati da due militari in motocicletta che ci fermarono e ci intimarono di seguirli al loro comando dove ci costrinsero a sederci per terra. A Vittorio concessero, vista la mole, di appoggiare solo un ginocchio. Sembrava una chioccia circondata dai suoi pulcini! Oggi possiamo anche riderci sopra ma allora ci trovavamo di fronte a dei ragazzotti cresciuti solo fisicamente che maneggiavano dei fucili mitragliatori. AFRICA MISSION - COOPERAZIONE E SVILUPPO Fortunatamente John Bosco riuscì a far loro capire chi eravamo e perché ci trovavamo in Uganda e quindi ci lasciarono andare. L’episodio però era un segnale che la situazione si stava facendo più critica.
Ben presto Amin avrebbe espulso tutta la popolazione di origine asiatica con passaporto britannico; nel settembre, sempre del 1972, il dittatore dovette opporsi ad un tentativo di Obote di invadere l’Uganda dalla Tanzania, tentativo che fallì miseramente; nei primi giorni del dicembre vennero espulsi cinquantuno missionari tra padri, suore e laici delle diverse congregazioni che non avevano in regola il permesso di soggiorno; sembrava che fosse imminente l’espulsione totale dei missionari europei e nordamericani; Amin dichiarava che gli unici stranieri di cui l’Uganda aveva bisogno erano tecnici e non preti.
Questa era la situazione che costrinse Vittorio a rinunciare al viaggio di gruppo programmato tra il novembre e il dicembre. Partì solo lui e tra le altre cose partecipò anche alla consacrazione della cattedrale di Lira sedendo a pochi metri da Amin. Con tenacia Vittorio ripropose la partenza del gruppo per il 27 dicembre. Nella notte precedente ricevette da Kampala una telefonata da parte di una persona che per motivi di sicurezza non volle dichiararsi; Vittorio riconobbe però la voce di padre John Scalabrini, allora vicario di mons. Cipriano, il quale lo avvertiva che improvvisamente ai bianchi non era più consentito l’ingresso in Uganda. Il giorno dopo accompagnai un mortificato Vittorio all’aeroporto dove fu costretto a comunicare agli stessi amici che avevano già dovuto rinunciare al viaggio di novembre, che anche quella partenza doveva essere annullata. Nel frattempo il 28-29 ottobre nella Villa Regina Mundi alle Pianazze nell’alta provincia piacentina, si era tenuto il primo raduno dei soci di Uganda Mission. Nello stesso luogo si sarebbero tenuti tutti i raduni dei soci dell’associazione fino a quando mons. Manfredini fu vescovo a Piacenza. Soci erano coloro che avevano partecipato almeno a un viaggio di gruppo. Quel primo incontro vide la presenza di quarantuno persone; praticamente tutti coloro che fino ad allora erano stati con noi in Uganda. Il giorno della Immacolata Concezione del 1972, terzo anniversario del suo ingresso a Piacenza, mons. Manfredini benedisse la nuova sede di Uganda Mission a cinquanta metri dall’abitazione di Vittorio dove si era reso libero un piccolo ambiente con una vetrina sulla strada e che era dotato anche di un retrobottega. Finalmente avevamo la possibilità di AFRICA MISSION - COOPERAZIONE E SVILUPPO essere più visibili. Ricordo i sabato pomeriggio che vi trascorrevamo. Avevamo a disposizione un proiettore cinematografico 16 mm e alcuni filmati che ci erano stati forniti dai missionari Comboniani. Con dei listelli di legno avevo realizzato un telaietto che ricoprii con della carta da lucido semitrasparente utilizzata allora dai geometri per disegnare i loro progetti. Lo schermo così ottenuto e appoggiato alla vetrina, insieme all’altoparlante sistemato davanti alla porta d’ingresso, consentivano ai passanti di seguire ciò che i filmati volevano loro trasmettere e di entrare quindi a chiedere informazioni. Dopo la forzata rinuncia agli ultimi due viaggi del 1972, sembrava che tutto dovesse finire.
Non la pensava così Vittorio che in quel frangente trovò lo stimolo a modificare gli itinerari dei viaggi orientandoli verso altre Chiese e paesi africani come quelli del Kenia e della Tanzania. Fu questo il motivo per cui Uganda Mission Safari Club divenne Africa Mission Safari Club. La determinazione di Vittorio a portare avanti il suo disegno, nel gennaio del 1973 lo spinse a partire da solo per un primo viaggio esplorativo in Kenia e Tanzania dove non era mai stato e dove, grazie alla gentilezza dei missionari incontrati che si offrirono di accompagnarlo, ma anche attraverso avventurosi trasferimenti in taxi e in treno, potè prendere coscienza delle necessità più urgenti dei missionari e del clero locale di quei paesi. Il profondo spirito di osservazione e l’innata capacità di conoscere le persone, consentirono a Vittorio di tornare in Italia con le idee chiare su dove e come la sua associazione avrebbe dovuto operare. Nello stesso anno vennero allestiti tre viaggi in Kenia e quattro in Tanzania anche in contemporanea. I gruppi furono guidati, secondo le necessità, dallo stesso Vittorio, da Enrica Pezzoli di Gemonio (VA) e da Carlo Manfredini fratello del vescovo. In quell’anno io mi recai in Kenia dove il 19 agosto nella chiesa di Marsabit, mons. Enrico Manfredini benedisse le nozze di mia sorella. Naturalmente il pranzo venne curato da Vittorio. Nell’agosto del 1974 toccò anche a me condurre un gruppo in Tanzania; passai quindi in Kenia dove Vittorio aveva terminato il suo tour e rientrammo insieme in Italia. Faceva parte del mio gruppo anche una signorina di Piacenza che il 21 dicembre dell’anno successivo nella Villa Regina Mundi, sarebbe diventata mia moglie davanti a don Francesco Cattadori allora ancora segretario di mons. Manfredini. La data del 21 dicembre fu scelta perché il giorno 23 Vittorio sarebbe partito per il Kenia e quindi ne approfittai per fare il mio viaggio di nozze. Nel cuore di Vittorio tuttavia albergava sempre il desiderio di tornare in Uganda. Già nell’estate del 1975 aveva fatto un nuovo tentativo, ma ancora una volta la situazione politica non dava i segnali di una necessaria sicurezza per cui, approfittando delle conoscenze che negli anni precedenti aveva maturato in Kenia, all’ultimo momento dirottò colà il gruppo che nel frattempo si era costituito. Il giorno di Natale del 1976 ad Awach, diocesi di Gulu, Vittorio venne ordinato diacono per le mani di mons. AFRICA MISSION - COOPERAZIONE E SVILUPPO Cipriano. Indossava un bianco camice di lino confezionato con un lenzuolo portato in dote come sposa da sua mamma Carmelina e da lei ricamato. ''Volli essere diacono per mettermi in affari con Dio'', avrebbe dichiarato Vittorio alcuni anni dopo durante una chiacchierata con padre Piero Gheddo. ''L’ho fatto perché i diaconi, nei primi tempi della Chiesa, provvedevano alla mensa e ai poveri. Ho capito subito che alla mia età non potevo più imparare i dialetti dell’Uganda né fare il missionario in un villaggio. La mia era una vocazione speciale: quella del viaggiatore che stabilisce un ponte fra l’opulenza italiana e la povertà ugandese''. Il diaconato fu tuttavia solo la prima tappa verso il sacerdozio al quale Vittorio aveva sempre aspirato fin dal giorno in cui ancora ragazzo, davanti alla statua della Madonna Addolorata nella basilica di S. Vittore a Varese, aveva promesso che avrebbe celebrato lì la sua prima messa.
Mantenne la promessa tanti anni dopo quando nel palazzetto dello sport di Varese, dove nel novembre del 1969 fu ordinato vescovo mons. Manfredini, Vittorio, sempre per le mani di mons. Cipriano, divenne prete dell’Africa incardinato nella diocesi di Gulu. Era il 15 settembre del 1984, giorno della Madonna Addolorata. Vittorio aveva allora 58 anni. Dopo il 1976 la situazione in Uganda andò avanti con alterne vicende finché il 13 aprile del 1979 l’esercito della Tanzania, sostenuto dai ribelli dell’UNLA (Uganda National Liberation Army), invase l’Uganda dal sud e depose Amin. A questa ennesima situazione di instabilità politica, che pose definitivamente fine ai viaggi di gruppo con le valigie al seguito, si aggiunse il dramma del colera, della carestia e della siccità che particolarmente in quegli anni, colpì la già provata regione del Karamoja. Per far fronte a questa nuova drammatica emergenza, in seno ad Africa Mission prese allora vita il Comitato Amici dell’Uganda. Dal 24 maggio 1979 (data del primo volo e quindi soltanto 41 giorni dopo l’invasione dell’esercito tanzaniano) al 1982, grazie anche all’intervento dell’on. Giulio Andreotti e insieme ai numerosi volontari che in tutta Italia lo aiutarono, Vittorio riuscì a realizzare un ponte aereo Piacenza-Uganda che si concretizzò con l’allestimento di 43 voli di aerei cargo sui quali furono stivati viveri e altri generi di prima necessità, oltre ad attrezzature agricole, meccaniche e sanitarie. Ai trasporti aerei si aggiunsero quelli marittimi di materiale meno urgente che venne sbarcato a Mombasa in Kenia e quindi trasportato in Uganda via terra. Tutti i convogli di camion che dall’aeroporto di Entebbe portarono verso nord gli aiuti scaricati dagli aerei, videro Vittorio seduto sul mezzo battistrada.
È giusto anche ricordare che importanti organizzazioni internazionali, per motivi di sicurezza, limitarono il loro intervento nella zona attorno a Kampala. Si calcola che in questo modo Vittorio riuscì a distribuire circa 4000 tonnellate di merci, soprattutto in Uganda ma anche a favore dei profughi in Zaire, l’attuale Repubblica Democratica del Congo, e in Sudan dove si erano accalcati più di 150.000 ugandesi spinti dall’incalzare dei soldati di Amin allo sbando e in fuga da una Kampala occupata. AFRICA MISSION - COOPERAZIONE E SVILUPPO Dopo alcuni mandati presidenziali di breve durata, nel 1980 tornò al potere Milton Obote che aprì una stagione di vendette contro i sostenitori di Amin. Ma questa è un’altra storia; erano arrivati gli anni Ottanta e con essi Cooperazione e Sviluppo che consentì a Vittorio di rivolgere le sue energie verso la realizzazione di nuovi progetti; lasciò invece ad Africa Mission quel compito di sensibilizzare le persone ai problemi delle missioni che le aveva affidato nel 1972 quando tutto cominciò. La mia conoscenza di Vittorio non ha quindi seguito il percorso di coloro che sono rimasti folgorati da una delle sue prorompenti omelie. L’ho assimilato lentamente giorno dopo giorno accompagnandolo nei suoi viaggi in Africa e in Italia e durante l’attività di ufficio. Ne ho apprezzato la determinazione nel far crescere il suo movimento nonostante le innumerevoli difficoltà, sorretto da una incrollabile fede, ma ne ho anche accettato i difetti semplicemente perché erano parte di lui. Vittorio non era un uomo da mezze misure; ne venivi attratto nella sua totalità oppure lo rifiutavi completamente.
Nel suo vagabondare ha sempre avuto attenzioni per tutte le persone che avvicinava, anche in incontri occasionali. Ricordo un episodio che potrebbe sembrare marginale ma che ritengo invece significativo. Eravamo nel mese di dicembre quando Vittorio mi chiese di accompagnarlo in Uganda per riprendere quei contatti che in precedenza erano stati forzatamente interrotti. Ci spostavamo noi due soli sull’auto che Mons. Cipriano ci aveva messo a disposizione insieme all’autista John Bosco. Eravamo capitati da un missionario che stava ospitando dei parenti venuti a trovarlo dall’Italia per trascorrere con lui il Natale. Si trattava di una coppia di sposi con il figlio di dodici anni. Ci intrattenemmo con loro in una piacevole conversazione e alla fine Vittorio mi chiese di aprire una valigia dove avrei trovato un torrone da regalare a quel ragazzo. Rovistai nella valigia e finalmente vidi una ''cosa'' che riconobbi essere un torrone solo perché intuii che sull’involucro si poteva leggere ''Sperlari'' ma che, a causa dello sballottamento dell’auto in quella calda giornata, aveva assunto la forma contorta dello spazio lasciato libero dalle altre cose che lo accompagnavano. Quello però era pur sempre un torrone portato in Uganda dall’Italia e il giorno dopo sarebbe stato Natale.''
Daniele Vignola