Erano gli anni ’60, e se ricordo bene il 1966, quando, in occasione della convocazione a Milano dei tecnici regionali della BP (British Petroleum), di cui ero dipendente, per un corso di aggiornamento da parte della Direzione della Società, ho incontrato una persona speciale, quella che diventerà per tutti comunemente Don Vittorione.
Durante la settimana del corso i dirigenti ci portavano a cenare in trattorie caratteristiche della zona e una sera ci trovammo a Varese in un locale molto decantato per le sue specialità e prelibatezze. Come entrammo fui subito colpito da una figura strana, informe e voluminosa, con piedi divaricati, braccia spalancate che sostenevano dei grandi vassoi con i piatti di portata, e una voce tonante che redarguiva un ragazzo che timidamente si trovava di fronte (era il
nipote) e che aveva il torto di aver sbagliato gli ordini dei clienti in sala. Non avevo finito ancora di percepire la situazione che dietro di me esplodeva una risata sarcastica da parte dei miei colleghi, sconvolti alla vista di quell’insolito e buffo personaggio. Io mi unii a loro per non esser da meno ma non sapevo che un giorno me ne sarei profondamente vergognato. Trascorremmo una serata vivace, quasi goliardica, gustando le diverse portate con dell’ottimo vino e avendo conferma della fama acquisita di rinomato ristorante, senza tuttavia curarmi di prender nota del nome del gestore.
Passarono da allora quasi una quindicina d’anni e una sera, nella trasmissione televisiva di ''Lascia o Raddoppia'', rividi, di sfuggita, un personaggio gigantesco, intervistato da Mike Bongiorno, che promuoveva degli aiuti per una popolazione che viveva in una zona depressa dell’Africa. Non riconobbi in lui il ristoratore di Varese, vuoi perché era vestito con abito scuro, ben ordinato, con una voce appassionata e vibrante, vuoi perché ero distratto da altri interessi. Dovevamo arrivare al 1980 perché rivedessi e conoscessi di persona Vittorio Pastori. Fu così che entrai in un rapporto speciale con lui. Vittorio venne a Bolzano su invito di una sua ''discepola'' di Padova, la Signora Luisa Nardo, trasferitasi a Bolzano da un paio d’anni con la famiglia. Proprio nella sua città
Luisa aveva avuto modo di conoscere Vittorio in occasione dei suoi tanti incontri in giro per l’Italia per far conoscere la drammatica situazione di povertà in cui versava una particolare regione dell’Africa e per promuovere gli aiuti per la sopravvivenza di quella popolazione.
Luisa si era subito inserita nelle attività della parrocchia di Cristo Re, retta dalla comunità dei Padri Domenicani, assumendosi la guida del Gruppo di animazione missionaria al quale da poco mi ero aggregato quale parrocchiano di lunga data – 1939 – dopo un periodo di impegno politico locale deludente, ritenendo alla fine più proficua la scelta di operare nella vigna del Signore. Del Gruppo faceva parte anche Nino Corradini, futuro protagonista e membro di Africa Mission. Ricevemmo Vittorio nel tardo pomeriggio presso il Convento dei Padri Domenicani. Arrivò in un’auto spaziosa, adagiato nel sedile posteriore di una vecchia Alfa o Citroen guidata dal nipote. Come lo vidi uscire, a fatica, dall’auto e rizzatosi in piedi lo riconobbi. Il grossoe goffo ristoratore di Varese di quattordici anni prima che avevo irriso era davanti a me, con aria dimessa ma disinvolta come ci fossimo incontrati poco prima. Mentre io mi sentivo confuso e smarrito, lui con voce suadente salutò tutti i presenti e seguì il nostro assistente di Gruppo nel convento dove prese alloggio assieme al nipote.
Ricordo che i frati ebbero il loro da fare per dare una sistemazione adeguata al letto di Vittorio. Dovettero smontare la piediera e allungare il letto tramite due sedie e due cuscini in modo che Vittorio potesse stendere le gambe a suo comodo. Era stato preparato un fitto programma per l’accoglienza e per gli incontri in città e nella vicina Laives da parte della dinamica Luisa che aveva coinvolto nell’evento diversi gruppi missionari, in primis il nostro. Devo precisare che a quel tempo eravamo pressoché tutti impegnati nel proprio lavoro e quindi per l’occasione ci distribuimmo gli incarichi in modo da poter assistere Vittorio nei vari punti d’incontro. Ricordo che in quell’occasione Nino si fece in quattro per organizzare e seguire i diversi spostamenti di Vittorio. Approfittò della
posizione di suo figlio, capoclasse della V^ Industriale Superiore, per ottenere dal Preside la grande aula magna dell’Istituto, nella quale confluirono le IV^ e V^ classi del vicino Istituto Commerciale e per Geometri, realizzando un pienone mai visto. E questo ci allarmò parecchio perché non sapevamo come il nostro oratore sarebbe stato accolto. Lui non ebbe alcun complesso; salì sul palco con estrema disinvoltura e si mise subito a parlare con voce vibrante, facendo zittire immediatamente il tramestio e i commenti degli studenti, anche loro stupiti nel trovarsi di fronte un simile interlocutore. Il tono inconsueto
impressionò anche me che partecipavo come accompagnatore e rimasi incollato alla sedia, stupito ma attento alle sue parole appassionate, così man mano come avvenne per tutti gli studenti, affascinati da tanto calore. Le sue parole penetravano nel cuore come frecce infuocate, i suoi vigorosi e animati richiami mettevano l’accento sulla nostra indifferenza e inerzia di fronte alla drammaticità dell’esistenza estremamente precaria di tante popolazioni sulla terra e la responsabilità del mondo occidentale adagiato nel benessere. Era un rimprovero generalizzato ma che giungeva a segno in tante coscienze dei giovani presenti. Alla fine dell’intervento di Vittorio c’è stato un attimo di silenzio e poi uno scrosciante e travolgente applauso da parte di tutti i presenti nell’ampia aula. Avevano capito che si trovavano di fronte ad un autentico Missionario che aveva fatto della sua vita un’offerta totale per una concreta e necessaria opera umanitaria. Davvero l’incontro ebbe un successo straordinario, che andava oltre le nostre aspettative.
Il tour programmato poi proseguì nel pomeriggio presso l’Istituto delle Suore Marcelline, e il giorno successivo all’Istituto dei Salesiani e quindi nell’Oratorio Don Bosco di Laives, gremito dai tanti aderenti alle Associazioni di volontariato. Anche il nostro Missionario appariva soddisfatto dell’esito degli incontri, anche per la giovialità a cui si abbandonava dopo aver profuso, sempre in piedi, tanta energia nell’esporre la drammaticità della situazione in cui versava la misera popolazione ugandese della regione del Karamoja. Devo dire che il tono, talvolta apparentemente burbero, mi ha fato ricordare Padre Pio quando, circa vent’anni prima ero andato a San Giovanni Rotondo, anche in questo caso occasionalmente, per accompagnare un amico impresario per l’ordine di una partita di marmo a Trani. Assistei alla S. Messa celebrata dal Padre, ora San Pio, con una breve omelia e quindi approfittai per la confessione. Pure in questa circostanza il tono fu di rimprovero e di ammonimento per una vita cristiana che dovevo prendere più seriamente e concretamente, coerente all’insegnamento evangelico.
Ho associato i due incontri perché ebbi la stessa sensazione: quella di trovarmi di fronte a due persone eccezionali, che non parlavano per se stessi ma che annunciavano una realtà per la quale non si poteva rimanere inerti, indifferenti, bisognava trarne le conseguenze, agire subito. Mi han fatto capire che non si può vivere alla giornata; un monito per considerare la propria esistenza come un tesoro unico da non disperdere ma per il quale vale la pena di spendere la propria vita. Il carisma di quello che diventerà in seguito Don Vittorio, o meglio, Don Vittorione, mi investì e non mi abbandonò più.
Sentivo dentro di me un’energia nuova che mi spingeva a realizzare l’idea di Don Vittorione, il progetto che aveva cambiato la sua vita: ''smettere di dar da mangiare ai ricchi per sfamare i poveri'' anche perché ''chi ha fame, ha fame subito''. Si avvertiva in lui il grande amore per l’uomo, per i poveri, per i diseredati, per gli ultimi, per gli abbandonati, che la sua grande generosità non poteva lasciare soli ma, come il buon samaritano, rispondeva a un prepotente richiamo interiore di giustizia e di solidarietà verso il prossimo nell’indigenza. Sicuramente il Vangelo è stata la sua ragione di vita e la sua profonda Fede il sostegno della sua opera. Nei suoi appassionati richiami possiamo definire anche lui, come Don Mazzolari, tromba dello Spirito Santo. E questo affascinò tanti di noi presenti all’ascolto del suo vibrante invito all’azione. Ci mettemmo infatti al lavoro subito e con gli amici di Laives organizzammo la prima
''Raccolta Viveri'' che si spinse, oltre a Bolzano, nelle zone limitrofe, compresa la Bassa Atesina fino a Salorno, a confine con Trento.
Questa iniziativa non si fermò più e dura tutt’ora dopo 38 anni. Chi se non un legame Provvidenziale può tenere unita nel tempo una compagine di volontari così variegata – professionisti, impiegati, operai, casalinghe, pensionati, studenti, militari – con un cambio generazionale che ha saputo interpretare le esigenze di solidarietà umana tanto raccomandate da Don Vittorio. Personalmente, dal momento che ho avuto la responsabilità di organizzare la ''Raccolta''
per diversi anni, ho avvertito una spinta per me inusuale. Non mi ritraevo di fronte a nessun ostacolo o difficoltà per ottenere un’autorizzazione o un contributo da parte di Enti pubblici e privati. E tutta questa audacia perché l’obiettivo non era un interesse mio privato ma quello a favore di persone in pericolo di vita che dovevano essere aiutate, e subito. Ci sono stati anche momenti di tensione, specie per la mancanza improvvisa di volontari a copertura delle postazioni, già attive, presso i Supermercati e quindi la necessità di trovare o spostare subito qualcuno che potesse dare continuità con la sua stabile presenza davanti ai cassoni contenitori delle merci offerte dalla gente. Ebbene, non mancava caso che non ricevessi una propizia telefonata di una o più persone che si offrivano desiderose di partecipare alla nostra iniziativa. Una sbalorditiva casualità che mi ha sempre riempito di stupore e che puntualmente mi richiamava a considerarmi ''uomo di poca fede''.
Anche da questi episodi ho pensato che da Lassù qualcuno aveva sempre a cuore la sua opera e continuava a controllare e guidare l’impegno dei volontari. Sono convinto che un’opera come quella pensata, ideata e realizzata da Don Vittorio sia un’opera Santa che deve continuare fino al raggiungimento finale del suo scopo, e cioè quello del conseguimento di un’esistenza autonoma della popolazione karimojong, con le strutture socio-sanitarie necessarie e adeguate per assicurare anche nel futuro una pacifica e umana convivenza. Con questo termino la mia storia con Don Vittorione, ma non la memoria di un uomo
generoso e santo che ha offerto la propria vita, fino al sacrificio estremo – la sua morte prematura è sicuramente stata causata dalla ferita subita nel tragico attacco dei ribelli dell’''esercito del signore'' durante il trasporto viveri da Kampala in Karamoja – per la sopravvivenza del prossimo bisognoso di aiuto e soprattutto di solidarietà fraterna come lui ha saputo donare. Bolzano, 6 Novembre 2018
Vigilio Buffa