23 feb, 2016

IL DIRITTO DI ESSERE DONNA

La mutilazione genitale femminile è una pratica ancora molto diffusa nei Paesi Sottosviluppati. Si calcola che almeno 200 milioni di donne abbiano subito questa pratica: In Italia secondo le stime sarebbero 35 mila le donne che hanno subìto queste pratiche ed oltre mille le bambine a rischio, mentre in Europa si parla di 500 mila donne e bambine che stanno soffrendo le conseguenze delle mutilazioni e di 180 mila a rischio ogni anno.
Ci racconta la sua esperienza Irene Moltrer, la nostra volontaria che segue il progetto SGBV (Sexual Gender Based Violence) - Violenza di Genere - un progetto nato per la tutela delle bambine e le donne del Karamoja nel 2014.


Margaret guarda dritta la macchina fotografica “Io queste cose le so, io ero una di quelle che tagliava”. Le mancano la metà dei denti sopra, ma non sembra curarsene e sorride storta mentre racconta, Margaret. Ride con una leggerezza che solo qui ho percepito, quando si parla di questi argomenti. Come può raccontarcelo ridendo, penso io. Le parole hanno una gravità diversa a seconda della latitudine in cui risuonano.
Margaret abita a Lemosui, nel distretto di Nakapiripirit ed è una delle donne coinvolte nel progetto di Cooperazione e Sviluppo in collaborazione con Danish Church Aid e Human Rights Network, finanziato dall’Unione Europea, che si occupa della prevenzione delle violenze sessuali e di genere e di sensibilizzazione contro le mutilazioni genitali femminili. Ecco che cosa tagliava, Margaret. Ecco chi, tagliava.
La mutilazione genitale femminile è ancora diffusa in 28 paesi africani tra cui l’Uganda, in cui in realtà questa pratica registra percentuali molto basse, circa l’1%. Se però spostiamo l’attenzione sulla regione del Karamoja i numeri crescono, arrivando a toccare il 4,5%. Stringendo maggiormente il campo sul solo distretto di Amudat sicuramente le percentuali si alzeranno ancora, dato che le mutilazioni genitali sono, qui in Karamoja, una questione etnica: sono diffuse tra i Pokot, i Kadama e i Tepeth, dunque soprattutto nei distretti di Amudat, Nakapiripirit e Moroto.
La maggior parte delle volte la mutilazione consiste nell’asportazione del clitoride e delle piccole labbra, ma in alcuni casi prevede anche il restringimento dell’apertura vaginale, ed è una pratica che, oltre a essere dolorosa ed esporre la ragazza a rischi di infezioni ed emorragie, porta con sé gravi conseguenze a lungo termine come la possibilità di contrarre infezioni all’apparato urinario, incontinenza o serie difficoltà al momento del parto insieme a, evidentemente, un‘inevitabile compromissione della sessualità. Praticata mediamente tra i 9 e i 14 anni, fino a pochi anni fa, almeno tra i Pokot, era un requisito imprescindibile per sposarsi ed è tutt’oggi spesso associata a matrimoni precoci: una volta mutilata il prezzo della ragazza, espresso in capi di bestiame, cresce, e questa viene data in sposa, spesso ad un uomo molto più vecchio di lei che ha già più mogli.
In Uganda, dal 2009, la mutilazione genitale femminile è considerata anticostituzionale ed è proibita dal 2010: sono perseguibili per legge non soltanto coloro che la praticano, ma anche chi la sostiene, la promuove o ne è a conoscenza e non la denuncia alla polizia.
Nelle comunità oggi è ancora palpabile la discrasia tra la tradizione e le regole della collettività: il tasso di alfabetizzazione in Karamoja non arriva al 20%, vaglielo tu a spiegare che quello che hanno praticato per decine di anni è pericoloso e sbagliato. Il rischio è che queste persone vengano messe in carcere, subiscano la pena vivendola a loro volta come un’ingiustizia e che tornate in libertà, non avendo capito il motivo della condanna, tornino sui loro passi, fedeli alla loro cultura di appartenenza.
Per questo il progetto, avviato nell’aprile del 2014, ha previsto la formazione di 87 “change agents”, agenti del cambiamento, incaricati di condurre oltre 200 dialoghi con le comunità e sensibilizzarle in merito alle conseguenze della mutilazione genitale femminili e a tematiche a essa relazionate, come i matrimoni precoci e forzati, la violenza in famiglia o la diffusione dell’HIV e dell’AIDS. Alcuni tra i change agents sono stati scelti tra gli anziani del villaggio, altri tra i rappresentanti dei gruppi giovanili o tra i leader carismatici; tra di loro alcuni erano coinvolti direttamente nella pratica della mutilazione. Parallelamente al coinvolgimento e alla responsabilizzazione delle comunità sono stati formati alla gestione delle emergenze lavoratori in ambito sanitario e poliziotti, cercando di far dialogare le comunità con le istituzioni. Per colmare la dicotomia tra tradizione e legislazione sono state distribuite alcune copie delle leggi semplificate e illustrate. Per la sensibilizzazione vengono utilizzate tecniche espressive facilmente recepibili dalle comunità, come la messa in scena di drammi o canti corali che coinvolgono l’intero villaggio.
Il progetto è ormai quasi alla fine, si chiuderà a fine aprile. I progressi sono piccoli, come ogni mutamento che abbia a che fare con le consuetudini, ma si vedono. D’altronde cultura ha la stessa radice di coltura, il che presuppone che quando si opera in questo settore sia necessario armarsi di cura, pazienza e tempo per raccogliere frutti.
"Aah keroner akidung angikoiru alu/ apri alonya/nooi nooi noooi" (trad: in questi anni non è più permesso tagliare, persino se abiti in un posto sperduto, mai mai mai più)
Le donne cantano. Gli uomini fanno loro eco. Margaret sorride con i suoi pochi denti "Sereniauo C&D". Grazie. Il cambiamento lo innaffiano loro giorno per giorno, e ha già messo le sue radici.
Irene Moltrer
Africa Mission