Intervista a Roberto!
Roberto Persi, 25 anni, veronese di nascita e bolognese d'adozione, è ritornato da poco in Italia dopo 3 mesi di stage in Uganda, più precisamente in Karamoja, presso l'associazione Africa Mission-Cooperazione e Sviluppo. Un'esperienza forte, piena di spunti di riflessione, che ha aiutato il giovane laureando in Food Marketing e Strategie Commerciali presso l'Università Cattolica di Piacenza, a ritrovare valori in sé che non riusciva più a percepire forti come un tempo.
1) Un viaggio in una terra "lontana" porta sempre con sé delle aspettative. Le tue sono state rispettate?
Sì, in generale posso dire che le mie aspettative sono state rispettate, grazie al periodo di stage in sede avevo già un'idea abbastanza chiara del contesto nel quale mi sarei inserito e di quale sarebbe stato il mio ruolo. Prima di partire infatti ho letto diversi report, contribuito a varie iniziative, tra cui la mostra per i 45 anni. L'unica cosa che non mi aspettavo e che mi ha colpito molto positivamente è stato il rapporto aperto e di fiducia che si è subito creato con i locali.
2) Com'è stato il primo impatto con la realtà ugandese?
Sotto certi punti di vista è stato un po' complesso, appena scendi dall'aereo la prima cosa a cui poni attenzione sono gli odori e i colori che ti fanno subito capire di essere in un mondo diverso. Nel tragitto dall'aeroporto a Kampala mi ha colpito vedere tutta la gente camminare sul ciglio della strada, mi è venuta in mente la definizione di Africa come "continente in cammino". Dall'Italia a Kampala è come essere catapultati in un altro mondo, poi dalla capitale al Karamoja si viene sbalzati in un altro mondo ancora. Questo forse all'inizio mi ha fatto sentire un po' spaesato, ma la presenza degli altri ragazzi mi ha dato subito conforto.
3) Nel compound di Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo la vita si svolge in comunità. Secondo la tua opinione, quali sono i pro e i contro di questa scelta?
Diciamo che non ero nuovo alla vita di comunità: avendo giocato a calcio per tanti anni so fare "gioco di quadra". In generale, vivere in comunità significa avere regole comuni e rispettarle, basta che un soggetto non sia favorevole che tutti sono "frenati", così come se qualcuno ha problemi personali tutta la comunità ne risente. Questo per quanto riguarda gli aspetti negativi, ma i pro sono senz'altro di più: stare insieme fa sentire coinvolti e iniziare e finire la giornata insieme, confrontandosi sui problemi e su quello che si è realizzato durante l'orario di lavoro mi ha aiutato tanto.
4) Che cosa hai imparato su di te? Hai scoperto nuovi aspetti del tuo carattere grazie a questa esperienza o hai avuto conferma di quel che già sapevi sui tuoi valori?
In linea di massima, posso dire di aver avuto una "conferma" di me. Mi sono sempre considerato un ragazzo "aperto" verso gli altri, disponibile e pronto a mettersi "a servizio". Posso però dire che questo percorso ha contribuito ad accrescere la fiducia in me stesso, quando ad esempio mi sono trovato a risolvere sfide non sempre facili. In un'occasione mi sono trovato a dare consigli a una classe di ragazzi in difficoltà e questo mi ha fatto sentire adulto e maturo.
5) Parlando di sfide, quali difficoltà hai incontrato?
Farò un esempio pratico. Per me una sfida importante è stata quella del tempo: sono sempre stato abituato alla mentalità europea, tutto deve essere fatto subito, velocemente, ubbidendo a scadenze rigide. In realtà, stando lì ho capito che, dal loro punto di vista, un compito non deve essere per forza portato a termine oggi, si può concludere anche il giorno dopo. Questa comprensione è quasi indispensabile per adeguarsi alla loro cultura, sennò si rischia di irritarsi per niente. All'inizio non capivo, ma poi ho avuto un confronto con un nostro collaboratore locale che mi ha detto "Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo"; ho pensato tutto il giorno a questa frase e da quel momento sono entrato in sintonia con loro.
6) A che cosa pensi di aver contribuito nel tuo periodo di permanenza in Uganda?
Penso di aver lasciato un contributo positivo alla comunità, rapportandomi ai miei colleghi e ai collaboratori locali con umiltà. Ho cercato di dare piccole attenzioni, soprattutto a chi vedevo in difficoltà: mi ricordo in particolare di aver aiutato Esther, una giovane ragazza madre paralizzata a causa di un fulmine, a sistemare la sua carrozzina, ormai rovinata. Quel giorno l'accompagnai a casa (di solito era il suo bimbo di soli 4 anni a spingerla) e vidi con quanta dignità si occupava di suo figlio: l'immagine di lei che gli legge la Bibbia, nello spazio angusto della loro povera casa, mi ha colpito profondamente.
7) Cosa ti ha insegnato questa esperienza, a livello pratico e non?
A livello organizzativo, il fatto di dover programmare in anticipo le mie attività per non interferire con quelle degli altri mi ha insegnato ad essere responsabile e organizzato. Dover spesso parlare "in pubblico" ha aumentato la mia fiducia e sicurezza.
8) Ritieni di aver ricevuto qualcosa da chi ti stava intorno?
Ogni giorno ricevevo qualcosa che mi faceva tornare a casa con il sorriso. Affetto, vicinanza, accoglienza anche da persone che avevo appena conosciuto e che nonostante questo sembravano felici di avermi lì. Ho sentito molto calore e spero di averne restituito altrettanto. Il rapporto con i karimojong mi ha insegnato inoltre a vedere la soluzione ai problemi e a trovare il modo giusto di affrontarli.