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18 giu, 2019

Potenziare le comunità dei campi profughi. Elena racconta il nuovo progetto con AICS e Sant'Egidio.

Elena Guiducci, project manager per il nuovo progetto, dedicato ai rifugiati presenti in alcuni campi del distretti di Adjumani (Uganda), cofinanziato da AICS e in partnership con Comunità di Sant'Egidio, ci racconta la sua esperienza nei campi. Buona lettura!

«I campi di rifugiati che ci sono qui in Uganda sono insediamenti storici, creati anni fa per accogliere i flussi di sud sudanesi in fuga dai vari conflitti interni che si sono susseguiti dalla metà degli anni '90.  Rispetto ad altri campi, questi sono villaggi estremamente integrati nell'ambiente circostante e quindi a impatto visivo meno scioccanti di altri. Non ci sono recinzioni a delimitarne i confini, né capannoni a fare da dormitori per i loro abitanti. Tuttavia, i teloni di UNHCR a fare da pareti per le piccole casupole o i negozietti arrangiati ricordano a ogni sguardo dove ci si trova. Nel distretto di Adjumani sono stati pochi i nuovi arrivi negli ultimi mesi. Chi vive in questi insediamenti ha sistemato la propria capanna nel modo più decoroso possibile, sfruttando al meglio l'appezzamento di terra messagli a disposizione. 

Il progetto che ci proponiamo di implementare nel distretto di Adjumani prevedeva 2 aree di intervento, che in seguito a riunioni con gli stakeholder locali sono diventate 8, quindi sicuramente la prima sfida sarà riuscire a organizzare logisticamente i lavori così da poter seguire e monitorare al meglio l'avanzamento lavori.

Purtroppo, oggi giorno, non è facile parlare di sfollati e rifugiati in Italia. Ci sono tanti pregiudizi, tanti luoghi comuni che creano come una barriera. Qui arrivano a piedi o con mezzi di fortuna ricchi e poveri, istruiti e illetterati. Tutti sono accolti con un appezzamento di terra dove ricostruirsi una casa e una vita. Mi è capitato in passato di fare degli incontri in oratorio con i ragazzini e raccontare dei miei viaggi e di quanto ho visto. Mi sono sempre avvalsa del supporto delle fotografie, attraverso le quali è più facile catturare l'attenzione dei bambini e aiutarli a farsi rapire dalle storie di persone che vivono in Paesi studiati sui libri di geografia. Quando mi capita di interfacciarmi con degli adulti su questo tema, invece, cerco di creare un'interazione in cui anche io possa chiedere idee e opinioni su come vivono le persone che sono costrette a fuggire da guerre, epidemie, carestie o calamità naturali e quali sono i motivi per cui ci sono persone disposte a mettere in gioco la propria vita pur di trovare condizioni di vita dignitose».