Sara:

Sara: "Il mio primo compleanno in Uganda da casco bianco"

I ventisei anni Sara Capelli li ha compiuti a Moroto, davanti a una torta cucinata per lei da Juliana, con un buffo cappellino di carta a punta e intorno collaboratori e caschi bianchi che con lei condividono questa esperienza. Per Sara è il primo compleanno ugandese, festeggiato dopo qualche mese dall'inizio di un percorso che durerà un anno: "All'inizio eravamo affascinati da tutto e notavamo ogni dettaglio differente rispetto all'Italia – spiega – oggi stiamo trovando una routine. Credo sia normale dopo due mesi e mezzo smettere di fare il paragone con l'Italia su tutto. Me ne sono accorta quando un amico che studia psicologia mi ha chiesto qualche giorno fa di raccontargli un particolare etno-antropologico dell'Uganda che avevo notato: lì per lì non mi è venuto in mente nulla, poi ho capito che oggi alcune cose le considero normali. È una forma di abitudine e non mi spiace: anzi, a dire la verità sto bene".
Fra le novità con cui Sara e gli altri serviziocivilisti si sono misurati c'è anche la vita in comunità: "Per me è la prima volta che trascorro così tanto tempo in un contesto comunitario e mi sto trovando bene – ammette Sara – ma anche qui ci sono stati dei cambiamenti: all'inizio facevo troppo affidamento sui ragazzi espatriati presenti qui, erano un punto di riferimento costante. Lo sono anche adesso, ma vorrei imparare a essere indipendente pur considerando la comunità come una grande famiglia. Finora non ho mai avvertito la necessità di stare da sola o ritagliarmi degli spazi solo per me, ma so che non sarebbe un problema".
Non lo sono state neppure le restrizioni causate dal covid per Sara: "Le ho vissute abbastanza bene, anche se mi è spiaciuto non avere incontrato Carla e Andrea e non poter visitare un po' di più i dintorni di Moroto, anche se adesso per fortuna abbiamo qualche libertà in più per girare – spiega – semmai a suscitare un po' di preoccupazione all'inizio era stata la circolare del 13 agosto del Dipartimento per le politiche giovanili che inseriva l'Uganda fra i Paesi a rischio, bloccando le partenze ma non dicendo nulla sui volontari presenti: ci siamo ritrovati con tante domande senza nessuna risposta concreta, per fortuna lo staff del Movimento ha saputo tranquillizzarci dandoci delle garanzie in più. Posso dire di essere contenta ora: l'unica cosa a cui faccio più caso è di essere chiamata "musungo" perché sono bianca. Un po' mi pesa perché i locali mi chiamano così per chiedere soldi e cibo perché i bianchi, in virtù del colore della loro pelle, sono considerati ricchi. Però è anche vero che siamo stati noi bianchi a creare questa immagine e non è facile da cambiare".