UGANDA: MARTA, LA MIA AVVENTURA IN KARAMOJA CON AFRICA MISSION-COOPERAZIONE E SVILUPPO

Credo che la cosa più difficile sia mettere per iscritto le emozioni e gli insegnamenti che mi ha regalato questa esperienza.
Ho vissuto con la famiglia di Africa Mission Cooperazione e Sviluppo da settembre a dicembre 2014. Tre mesi intensi di lavoro, servizio e amicizie.
Sono partita perché volevo fare un’esperienza di vita e di lavoro, conoscere da vicino il mondo della cooperazione e intanto raccogliere le informazioni necessarie per scrivere la mia tesi di laurea specialistica. Due anni fa mi sono iscritta alla facoltà di Studi dell’Africa e dell’Asia, all’Università di Pavia, e alla fine di questo percorso mi sono dedicata all’Uganda.
Ho conosciuto il movimento Africa Mission Cooperazione e Sviluppo a maggio 2013, quando visitai la terra karimojong per la prima volta, un viaggio di sole due settimane che mi fece scegliere la strada da percorrere. Arrivata in Italia andai subito a Piacenza e chiesi di far parte di questa bella famiglia, un piccolo sogno si stava realizzando.

Il mio lavoro a Moroto

Ammetto che appena arrivata a Moroto mi sentivo spaesata, come in una bolla. Tutti sapevano bene cosa fare, mentre io dovevo ancora ambientarmi. Non è stato facile prendere il giro, ma mai mi sono sentita sola, nemmeno un solo giorno. Ogni mattina uscivo con il team di Child Protection per le attività quotidiane e intanto, giorno dopo giorno, facevo amicizia con questa terra rossa, a volte polverosa a volte infangata. Mi sono concentrata sul problema dei returnees, ovvero coloro, per la maggior parte donne e bambini, che lasciano la Karamoja per raggiungere città come Mbale, Jinjia e Kampala alla ricerca di una vita migliore. Una volta arrivati a destinazione, le loro aspettative vengono subito deluse. Nei centri urbani si ritrovano sulle strade a mendicare e a respirare i fumi della città, trovano rifugio nelle baracche di Katwe, lo slum abitato per lo più da Karimojong. La prima volta che ho visitato Katwe era un venerdì mattina, prima di pranzo. Tornai a casa con il mal di stomaco e il senso di colpa. Mi sentivo impotente per l’ennesima volta. A Katwe le condizioni igieniche sono impensabili per ogni essere umano. Inutile dire che è decisamente meglio la povertà della Karamoja a un posto simile. Non sono l’unica a capirlo, molti karimojong infatti tornano volontariamente in Karamoja e quando chiedo loro il perché, mi rispondono che la Karamoja è casa loro e a casa non si è soli.
Al momento non sappiamo quanti lasciano la Karamoja, ma sappiamo quanti sono stati reintegrati ai villaggi. Ho analizzato i dati dal 2007, anno dell’ultimo atroce disarmo voluto dal governo, e dal 2007 al 2014 sono stati riportati a casa 1.895 karimojong, di cui 1.531 bambini. Sono loro le maggiori vittime di questa migrazione interna. Riportarli a casa significa accompagnarli nel viaggio da Kampala alla Karamoja, dove una volta arrivati vengono subito accolti in centri a loro dedicati. Qui si fermano per almeno tre giorni, vengono identificati e visitati, ricevono quindi tutte le cure necessarie, cibo, possono lavarsi e hanno supporto psicologico. Inizia da subito anche il lavoro di ricerca della famiglia del minore, e si aiuta così la comunità di appartenenza ad accogliere di nuovo il bambino a casa. E’ un lavoro che prosegue per mesi, anche per anni.
In tutto questo, è importante capire le cause, le motivazioni che spingono a una scelta del genere. La maggior parte dei returnees mi hanno risposto che partono per cercare soldi, perché hanno fame, per l’insicurezza alimentare. Dietro a ogni persona, a ogni giovane donna, a un bambino c’è però una storia diversa, storie di vita che si intrecciano. Non è facile dare delle opportunità a questa terra, ma non è impossibile. Non sono così impenetrabili come sembra. Per quello che ho vissuto, credo che la Karamoja abbia solo bisogno di occasioni, di un poco di attenzione in più per diventare ancora più bella di quello che già é.

Cosa porto a casa?

Tanti parlano di “mal d’Africa”, a me ha fatto benissimo. Ho conosciuto una Marta che non avevo mai incontrato prima. La Karamoja mi ha insegnato il vero senso del tempo, della pazienza e di una risata nel bel mezzo di un temporalone che ti sorprende mentre sei di ritorno dopo una giornata stancante di lavoro in un villaggio a tre ore da Moroto. Mi ha insegnato a non avere paura, o ancora a meglio, a saperla gestire. Mi ha insegnato a condividere la strada, la polvere, il caldo, il nervoso, la gioia. Ho portato a casa uno zaino pieno di grandi tesori, di nuovi amici. Uno zaino che dopo una bella ripulita è già pronto per ripartire. Grazie Karamoja, grazie Africa Mission!