Un anno di Adjumani

Un anno di Adjumani

L'accoglienza abita ad Adjumani: un distretto, diciotto campi, circa 218 mila rifugiati che arrivano principalmente dal Sud Sudan. La popolazione locale conta 250 mila abitanti. È qui che Africa Mission Cooperation and Development è intervenuta insieme ad Acap Comunità Sant'Egidio con un progetto di 14 mesi finanziato dall'Aics (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo): l'obiettivo è quello di migliorare le condizioni socio-economiche di almeno 1.500 donne e giovani nei campi rifugiati di Agojo, Ayilo 2, Maaji 2, Maaji 3, Nyumanzi, Olua 1, Olua 2 e Pagirinya. Otto campi, 136 mila profughi: aiutarli significa nel concreto costruire dei centri di aggregazione giovanile, organizzare corsi di formazione per studenti e insegnanti, avviare delle start-up, creare dei punti di raccolta delle acque piovane e dei pozzi per l'acqua potabile, garantire un adeguato sostegno alle donne in difficoltà e non solo, disinnescare conflitti. Proprio con quest'ultimo obiettivo il Movimento ha formato delle mediatrici comunitarie che si occupino della gestione dei conflitti fra le popolazioni locali e i rifugiati: sedici sono le donne coinvolte provenienti dai campi rifugiati di Nyumanzi e Maaji 3 e dalle comunità locali circostanti. Ma non è questa l'unica azione compiuta da Africa Mission Cooperation and Development in un Paese che complessivamente conta quasi 1,3 milioni di profughi e che proprio per questo è lo stato in Africa che ne accoglie di più.
Fra gli altri interventi previsti dal progetto in fase di conclusione uno dei più importanti riguarda l'avvio di due centri giovanili: a Nyumanzi la School of Peace è in grado di accogliere mille bambini e giovani, ha avviato diverse attività pomeridiane anche grazie alla presenza di due educatori e organizzato incontri con 250 ragazzi sui temi della convivenza e della pace e in materia di educazione sanitaria, sportiva e musicale. Inoltre sono stati svolti colloqui per l'assunzione di insegnanti e coordinatori delle attività. Ad Ajogo  invece i lavori sono iniziati a novembre e proseguono.
Sul fronte dell'educazione il progetto ha avviato una serie di corsi di formazione: 24 studenti sono stati formati nell'ambito di muratura e fabbricazione di mattoni, falegnameria, parrucchiere, panetteria alla Northen Uganda Youth Development Centre (NUYDC) di Gulu, mentre 89 ragazzi di cui 32 del Sud Sudan hanno seguito iniziato il corso di formazione in agricoltura al centro di formazione Kwolokere Agro-invest ad Alito, nel distretto di Kole.
Nel settore acqua sono undici le scuole in cui sono stati installati dei punti di raccolta di acqua piovana, mentre lo scorso dicembre è avvenuta la perforazione e la consegna di due pozzi alle comunità dei campi di Olua 1 e Olua 2. In contemporanea è stato organizzato un corso formativo sul corretto uso delle risorse idriche e ambientali: a curarlo è stato il volontario del Movimento Marco Costa che ha garantito la formazione teorica e pratica di sei tecnici ed esperti.
Anche in ambito ambientale Africa Mission Cooperation and Development è intervenuta puntando su un'attività di riforestazione svolta in collaborazione con l'organizzazione internazionale dei Luterani (Lutheran World Federation - LWF) nel campo di Pagirinya: i leader del campo, che conta oltre 35mila rifugiati, hanno preparato l'elenco delle possibili strutture e famiglie da coinvolgere a cui sono state consegnate piantine da frutto e alberi dalle ampie fronde. A causa della stagione secca, l'attività di piantumazione è stata posticipata, ma nel frattempo il progetto si è allargato alle scuole e ad altre famiglie.
Da segnalare infine, sul fronte dell'inclusione femminile, il training compiuto da 18 donne con l'obiettivo di avviarle al lavoro e alla creazione di piccole imprese, femminili e a partecipazione etnica mista (ugandesi e sud-sudanesi), incentrate su sartoria, panificazione e cucina. Nel centro di Nyumanzi si sono svolte le lezioni di cucito per l'avvio delle forme associazionistiche di piccola impresa e hanno coinvolto circa 25 donne con l'ausilio di due insegnanti, del macchinario e del materiale di base.
"La sostenibilità del progetto si basa sull'idea che attraverso l'istruzione e la formazione professionale e umana si possano nel tempo sviluppare e migliorare radicalmente le condizioni di vita sia dei beneficiari diretti del progetto che sono ragazzi, formatori e giovani donne, sia quella delle loro famiglie e comunità" spiega il responsabile del Paese Uganda Pier Giorgio Lappo. A fargli eco è il responsabile di progetto Daniele Cervellera: "Per facilitare l'avvio di attività lavorative, la scelta dei training per i giovani si basa su una ricerca di mercato condotta in collaborazione con l'ong locale Cosmess Uganda – spiega – la finalità era capire quali professioni offrissero le migliori opportunità di lavoro nelle zone di intervento e garantire così sia migliori condizioni economiche per i beneficiari".
"Il fatto è che la strada scelta dall'Uganda è ben diversa da quelle a cui siamo abituati quando si parla di accoglienza – conclude Lappo – non ci sono blocchi, muri o barriere, non ci sono aiuti sporadici o precari. Il Paese registra tutti i nuovi arrivati in modo che non ci siano clandestini: dà loro un documento, una sorta di carta d'identità che permette loro di sentirsi pienamente ugandesi, muovendosi su tutto il territorio nazionale con gli stessi diritti e doveri e anche di avviare un'attività". Chiaro che le sfide umanitarie e sociali restano: ma resta anche la consapevolezza che talvolta esistono modi di fare accoglienza diversi dai nostri. E magari funzionano meglio.

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