Volontari in prima linea contro il coronavirus

Volontari in prima linea contro il coronavirus

È grande cento volte l'Italia. L'Africa, questo continente in cui ancora oggi sono presenti malattie e focolai di epidemie temute dai Paesi europei come la malaria, il colera, la poliomielite, la febbre gialla e l'ebola, sarà costretta a breve ad affrontare il coronavirus. Molti stati africani, circa 30 su 54, convivono con guerre o guerriglie in casa; cinque hanno subito l'invasione delle locuste; alcuni combattono i focolai di epidemie; in tutti c'è una povertà diffusa ed è quella di 400 milioni di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno. In una situazione dunque già ampiamente complessa, arriva oggi anche la minaccia del coronavirus: una malattia che nei paesi ricchi ha messo in difficoltà i servizi sanitari dei grandi Stati che dispongono di sale di rianimazione, medici e infermieri e hanno medicinali a disposizione, mascherine e disinfettanti. Il coronavirus è sbarcato ora invece in una terra in cui non esiste nulla di tutto questo: i primi casi si sono verificati in dodici Stati, tra cui l'Egitto, il Congo, il Camerun e il Kenya. Cosa succederà ora? Non è esagerato immaginare che lo scenario di paura e sofferenza sarà lo stesso che abbiamo vissuto noi, solo potenziato dalla povertà di mezzi personali e di strutture pubbliche che contraddistingue l'Africa. Il popolo africano da sempre convive con le tragedie provocate da carestie, malattie, epidemie e questa nuova crisi servirà a mettere in luce da una parte la resilienza di un popolo che crede nella vita e lotta ogni giorno per essa e dall'altra le ingiustizie di cui il continente è vittima. Ingiustizie che già il nostro fondatore, don Vittorione Pastori, aveva più volte segnalato scagliandosi contro "i potenti e prepotenti della terra" che speculavano sulla vita dei poveri per arricchire se stessi. Sono passati anni da allora, ma la situazione non è cambiata: l'Africa resta il Paese con il maggior numero di poveri e un servizio sanitario con capacità ridottissime. Un Paese che ha bisogno di un aiuto onesto, disinteressato. In Italia abbiamo sperimentato come la paura dei nostri concittadini si sia talvolta manifestata in comportamenti irrazionali e a volte violenti: per questo speriamo che l'esperienza di bisogno vissuta da noi oggi ci aiuti a guardare i bisogni degli ultimi del mondo con uno sguardo più solidale. A capire che i poveri non hanno bisogno di filantropia, ma di un sistema sociale capace di valorizzare le capacità di ognuno e di garantire una vita dignitosa a tutti. Noi, che "viviamo" in Uganda da 48 anni, ci prepariamo insieme ai nostri amici ugandesi ad affrontare la probabile diffusione del coronavirus. Lo facciamo con 140 dipendenti locali e 10 collaboratori e volontari italiani presenti lì per 365 giorni sempre e con loro ci siamo già attivati iniziando a portare quello che possiamo: la nostra esperienza. Abbiamo iniziato a fare formazione ai nostri collaboratori locali ed espatriati e inseriremo l'informazione/formazione anche tra le attività che svolgeremo fra i beneficiari dei nostri progetti. Adesso è l'Italia ad avere bisogno di aiuto e i nostri volontari sono in prima linea per dare una mano alle loro comunità. Ma fra un mese probabilmente sarà l'Uganda ad aver bisogno di noi: noi, con l'aiuto di tutti i nostri sostenitori, vogliamo esserci. E ci saremo.