RICORDIAMO L‘AMICO PAOLINO NEL 15° DELLA SUA SCOMPARSA

Il 13 settembre 2011 è ricorso il 15° anniversario della morte di Paolo Paschini, per gli amici “Paolino”, volontario di Africa Mission e Cooperazione e Sviluppo, scomparso a seguito di un aneurisma addominale, che lo ha colto a Moroto, Uganda, e che lo ha portato alla morte nonostante il pronto intervento dei soccorsi e il trasporto in aereo in un ospedale all’avanguardia di Nairobi, in Kenia.
Paolino ha vissuto un percorso umano e cristiano davvero particolare. Dal mondo della violenza e dell’illegalità, è arrivato alla conversione grazie alla fede e all’amore di Don Zermani prima e della suora laica Maria Adami poi, e nel tempo è rimasto fedele alla sua conversione grazie all’amicizia della Comunità delle Angeline e dei tanti amici sacerdoti che frequentava a Piacenza, compreso don Vittorione, che dandogli fiducia, gli ha offerto l’opportunità di riscattare la sua vita con l’amore verso i poveri dell’Africa.


“NON C‘E‘ AMORE PIU‘ GRANDE DI QUELLO DI CHI DA‘ LA VITA". PAOLINO HA DATO LA SUA VITA
Dal momento in cui Dio ha scardinato la sua anima, Paolino ha iniziato un cammino che lo portato a passare gli ultimi 15 anni della sua vita a "girovagare" insieme a don Vittorione per le vie dell‘Uganda, per riuscire ad appagare il desiderio di amore che suo cuore aveva riscoperto.

Con "Vittorione" ha condiviso l‘amore per i poveri, il desiderio di essere di aiuto, di fare del bene,… di essere un "buon" cristiano.
Insieme si sono sporcati della polvere delle piste africane, hanno corso rischi e sopportato le difficoltà che immancabilmente incontra chi vuol fare un po’ di bene.
Assieme hanno condiviso la gioia di dare un bicchier d‘acqua ad un assetato ed un piatto di riso all‘affamato. E forse non è stato per caso che Paolino sia rientrato dall‘Uganda appena tre giorni prima che don Vittorio morisse. Appena in tempo per inginocchiarsi al suo capezzale, chiedergli perdono per le volte che lo aveva fatto arrabbiare e ricevere con le lacrime agli occhi, il suo bonario, ultimo, sorriso.

Paolino, come il figliol prodigo, aveva rincontrato Dio dopo un lungo viaggio per il mondo e dopo “averne combinate di tutti i colori”. E dopo aver festeggiato il ritorno, si era subito recato a lavorare nella Sua vigna.

Dio è amore, era il "ritornello" di una preghiera che ogni mattina recitava nell‘intimità del suo rapporto con Dio.
Uomo forte, libero, estremamente concreto, Paolino portava la sua carica di simpatia dappertutto. La sua capacità di incontrare gli altri, senza avanzare pretese, senza invadenza, lo metteva immediatamente in sintonia con tutti.

I valori in cui credeva erano per lui punti fermi da vivere con fedeltà estrema.

Non era un santo, ma era un testimone.
Con la sua vita Paolo ci ha ricordato:
• che non c‘è via del mondo sulla quale Dio non ci aspetti con amorevole pazienza;
• che la conversione non è un evento che si legge solo nelle biografie dei santi;
• che l‘amicizia non è sentimento dei poeti e dei sognatori, ma si concretizza in gesti di quotidiana attenzione alle persone con le quali si vive e per le quali nessun sacrificio è troppo grande;
• che la fedeltà è possibile;
• che è possibile non avere una famiglia, ma sentirsi di casa ed essere accolto come uno di casa in più di una famiglia.

Paolino era uomo disponibile.
Non si è tirato indietro quando essere in mezzo agli "ultimi" significava rimanere in balia delle scelleratezze che gli uomini compiono durante un colpo di stato.
Era presente quando accompagnare i camion carichi di aiuti, significava essere fermati sistematicamente da bande di guerriglieri per i quali la vita di un uomo vale meno della camicia che porta.
Non si è tirato indietro quando don Vittorio gli ha chiesto di rimanere, solo "bianco" nel raggio di 100 km, a controllare il campo di perforazione;

Uomo libero, non accettava costrizioni. I suoi gesti erano frutto di una "libera" scelta, anche quando erano faticosi e dolorosi.

Era innamorato dei bambini. Per essi aveva un predilezione, forse perché nei loro occhi ritrovava un‘innocenza perduta. Diceva che negli occhioni dei bambini africani, grandi e brillanti, leggeva le loro attese di una vita dignitosa, il loro diritto di crescere sani, di giocare, di andare a scuola, di diventare uomini.

Il 5 di agosto del 1996, era partito per quello che doveva essere il suo ultimo viaggio, "ormai sono vecchio per andare in Africa", diceva.
E Dio ha voluto che quello fosse davvero il suo ultimo viaggio. L‘ultimo, estremo sacrificio compiuto per essere ancora una volta a servizio.
Gli amici che in Karamoja hanno condiviso gli ultimi giorni della sua vita, hanno raccontato di aver visto qualcosa di più del solito burlone. Un Paolino che viveva con intensità i momenti di preghiera comunitaria, come se volesse prepararsi al momento dell‘incontro totale e definitivo con Dio.

Quando ci trovavamo a parlare dei problemi legati all‘attività del Movimento, dopo tante parole, tanti "ci vorrebbe…", "sarebbe meglio…", Paolino giungeva sempre alla stessa conclusione: "dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare!".
Durante i suoi soggiorni in Uganda, non inviava lunghe lettere, solo brevi biglietti scritti in fretta, come in fretta si muoveva la sua vita. Nell‘ultimo biglietto che ci ha inviato dal Karamoja, quattro righe in tutto, è scritta una frase che sintetizza bene l‘amore e lo spirito con il quale ha vissuto: "sono qui, come ti ho detto, a tirare il carro…….".

Una volta sentendo una canzone di don Giosy Cento disse: "ecco, io vorrei che la mia vita fosse in questo modo". La canzone diceva così: "vorrei passare nel mondo come un soffio di vento che accarezza i bambini, far sentire l‘ebbrezza di un mattino diverso in un mondo che muore. …Io mi sento disperso nell‘amore di Dio che non finirà più, e ogni istante è una vita che io sento infinita, il mio soffio sei Tu".
Paolino è passato nel mondo come un "soffio di vento"… di cui ancora sentiamo l‘ebbrezza sul viso.

Carlo Ruspantini